Media One Consulting riporta articolo pubblicato qualche settimana fa su Il Sole 24 Ore, a cura di Luca Davi

Oggi è solo una fetta della grande “torta” del credito al consumo. Ma da domani il segmento dei prestiti garantiti da una quota di stipendi e pensioni – fino al 20%, la cosiddetta “cessione del quinto” – si prospetta come la nuova frontiera verso cui banche e intermediari potrebbero muoversi per rilanciare il mercato dei finanziamenti personali.

Il merito è di una novità regolamentare approvata nei giorni scorsi quasi sotto traccia a Bruxelles, e che oggi sta generando un forte interesse tra banche e finanziarie. La norma approvata dall’Ecofin è semplice: l’assorbimento di capitale associato a questa tipologia di prestiti è stato abbassato dall’attuale 75% al 35% della attività ponderate per il rischio. Per capire: ogni diecimila euro prestati, la banca dovrà accantonare 300 euro circa in meno rispetto al passato. In un contesto come quello attuale, in cui la regolamentazione asfittica chiede sempre più capitale alle banche a fronte dei prestiti concessi, si capisce come il cambio di passo chiesta a gran voce dall’Abi sia rilevante. A maggior ragione se si considera che quella della “cessione del quinto” è una prassi tipicamente italiana, dove è stata introdotta fin dal 1950.

«Il provvedimento era atteso ed è molto importante per il settore – spiega il presidente di Assofin, Cesare Colombi – perché permette agli istituti di liberare capitale e quindi di aumentare i prestiti, almeno potenzialmente».

I dati ad oggi parlano chiaro. Secondo i dati Assofin, il segmento della cessione del quinto vale circa un decimo (pari a circa 5,1 miliardi finanziati nel 2017) dei prestiti totali del credito al consumo (pari a 50 miliardi circa), mondo in cui rientrano i prestiti personali, i prestiti finalizzati e le carte rateali. «Ora però le cose potrebbero cambiare – spiega Colombi – e nel giro di qualche anno il giro d’affari secondo le nostre stime potrebbe anche raddoppiare, a patto che l’industria riesca ad essere più competitiva a favore della clientela e consenta una traslazione dei benefici sull’offerta dei prodotti».

Resta da capire se la cessione del quinto troverà nuove potenziali bacini di utenza, magari tra la clientela privata, o “cannibalizzerà” altre forme di prestito al consumo, il cui assorbimento di capitale resta elevato. Molto dipenderà dalle scelte dei singoli istituti. Ad essere interessate al tema sono un po’ tutte le banche: si va da Mediobanca (attiva nel segmento con Compass) a Ubi (Prestitalia), da Bnl a BnpParibas (Findomestic), da Intesa Sanpaolo a Mps, da BancoBpm (Agos e ProFamily) a UniCredit. E il tema tocca da vicino soprattutto le banche specializzate, che fino ad oggi hanno ponderato i prestiti in maniera standard. E che all’orizzonte (la norma dovrebbe essere pubblicata in gazzetta tra aprile e maggio 2019) vedono importanti risparmi sul capitale. Nel caso di Ibl Banca, leader di mercato con una quota del 15% e circa 900 milioni di euro di erogato atteso nel 2018, la minor ponderazione può liberare «circa un terzo del patrimonio, ovvero 100 milioni su 330 milioni di euro, e far innalzare il Cet 1 ratio dal 12 al 17% circa», spiega l’ad. Mario Giordano. «Per noi l’impatto stimato è di 150 punti base sul Cet 1 – fa eco Gianluca Garbi, a.d. di Banca Sistema – Sarebbe un acceleratore del piano che prevede il raggiungimento di un miliardo di outstanding al 2020 sul fronte della cessione del quinto».

Per capire se e come l’industry si organizzerà e offrirà prodotti meno costosi (oggi il tasso medio annuo si aggira all’8,6%, in linea con il mercato) servirà tempo. Un’ipotesi è che la prospettiva di un risparmio di capitale spinga in particolare le banche medio e piccole verso questo prodotto e ciò favorisca una maggiore bancarizzazione del prodotto. Del resto le condizioni per proporre prestiti meno costosi in teoria ci sono. La rischiosità complessiva degli erogati garantiti da stipendi e pensioni è naturalmente più bassa delle altre tipologie di crediti al consumo: in media la perdita attesa è lo 0,16% contro un 5-6% della media dei prestiti al consumo. A fare la differenza è la garanzia offerta da una polizza assicurativa che protegge la banca in caso di morte o perdita del posto di lavoro e il fatto che il rimborso del prestito siano direttamente trattenuta alla fonte (ovvero presso il datore di lavoro, pubblico o privato che sia). Elementi questi che, manco a dirlo, tutti, dalle banche a Banca d’Italia, vedono di buon’occhio.

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