Materiali. La filiera è un modello di economia circolare: ha grandi capacità di adattamento e utilizza tutte le componenti. Anche a tavola
Booming Bamboo. Cresce facilmente e si allarga a dismisura: la pianta del bambù ha dimostrato una grande adattabilità. Anche in Italia la graminacea si va diffondendo, con diverse specie che sono adatte ai differenti microclimi del nostro Paese
Chi conosce il bambù lo sa: corre di suo, ovvero infesta facilmente. Ma a parte l’alta capacità di adattamento delle radici di questa graminacea, il bambù è al centro di una vera e propria corsa alla conquista di terreni da convertire a bambuseti dopo che Gunter Pauli nel suo libro “Blue Economy” (Edizioni Ambiente) lo inserisce tra le prime dieci filiere circolari. Pablo van der Lugt lo chiama “Booming Bamboo” (MaterialDistrict) è c’è da credergli: a oggi in Italia circa 2mila gli ettari coltivati a bambù sarebbero, secondo le stime di Lorenzo Bar, presidente dell’Associazione Italiana Bambù. Ma non esiste un censimento puntuale e forse potrebbero essere di più vista l’attenzione che questa pianta sta attirando anche come “sostituta” di altre fibre naturali.
Con il bambù si può fare molto senza buttare niente: si mangia – una start up come Italboo lo definisce il “cibo del futuro”-, si indossa e ci si costruisce anche. L’edilizia è il settore che potrebbe trarre il vantaggio maggiore anche in termini di decarbonizzazione per produrre «pavimenti o altri elementi strutturali snelli e rigidi per grandi coperture». Sono questi per Benedetto Pizzo, ricercatore del Cnr Istituto per la Bioeconomia, gli ambiti a maggior potenzialità. Il ricercatore pensa alla «parete della canna, da cui possono essere ottenuti elementi di più piccole dimensioni che, una volta riassemblati, consentono di ovviare agli inconvenienti della canna stessa, producendo materiali più omogenei e facilmente gestibili per un potenziale utilizzo industriale».
Si dà vita, così, a semilavorati (profili, pannelli, elementi curvi ecc.) da cui ottenere tutto quello che si può fare con materiali analoghi, da travi per soffitti a telai di bicicletta, ad arredi o oggetti di design sfidanti dal punto di vista delle forme e delle prestazioni.
Ma non basta seminare bambù: bisogna anche pensare a costruire la giusta filiera, ancora inesistente in Italia. Secondo Pizzo, «c’è un problema di prima lavorazione che corrisponde alla gestione e regolarizzazione dimensionale della canna e all’ottenimento da essa di quegli elementi (lamelle o fibre) da utilizzare poi per la fabbricazione dei prodotti ingegnerizzati». Eppure, la richiesta c’è perché se ne fa carta: la svedese Essity non nasconde le mire e c’è anche una carta igienica made in Italy, Gastona, idea di un giovane di Pordenone. Promette bene anche come sostituto della plastica. Lo sa bene Forever Bambù che crede nella piantumazione italiana del bambù gigante, con l’obiettivo di produrre bioplastica, insieme alla start up innovativa Mixcycling.
Ma quale varietà scegliere per le latitudini italiane? «Una gran quantità di specie può trovare qui il suo habitat – suggerisce Bar -, da quelli per climi freddi-temperati sino ad alcuni tropicali». Attualmente si stanno realizzando bambuseti di Phyllostachys edulis , la specie più utilizzata in Cina e per la quale esistono già esperienze, know-how e macchine per la lavorazione. Corre così il bambù verso grandi applicazioni. La chef Marianna Ziliati ha di recente pubblicato un libro dove reinterpreta ricette italiane unite al bambù in modo originale, dall’antipasto al dolce. Pianta utile anche rispetto alla crisi climatica, «per le sue capacità frangivento», precisa Bar. Fondamentale è anche l’aspetto estetico: il tema sta a cuore a Satoru Tabata, architetto paesaggista che ha dimostrato come questa pianta dalle mille virtù sia anche bella dal punto di vista paesaggistico.
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Il Sole 24 Ore
Editoriale: M.Cristina Ceresa