Il vertice. Per combattere l’inflazione, che «rimane elevata», la Banca centrale americana ha alzato i tassi d’interesse interbancari Usa di 75 punti base e ha segnalato nuove forti strette in
arrivo

NEW YORK
La Federal Reserve, per combattere un’inflazione che «rimane elevata», ha alzato i tassi d’interesse interbancari americani di 75 punti base, ad una fascia tra il 3% e il 3,25 per cento. Soprattutto, ha segnalato un più aggressivo giro di vite in arrivo, con in gioco ulteriori, forti strette: le nuove ali da falco dispiegate dalla Fed dovrebbero far volare il costo del denaro di altri 1,25 punti percentuali entro fine anno, con un quarto intervento consecutivo da 75 punti base a novembre e da 50 punti a dicembre. A essere sacrificata sarà la crescita: La Banca centrale ha quasi azzerato le attese sul passo del Pil quest’anno.

Il vertice Fed, in un ’ammissione di non aver finora fatto abbastanza sul carovita, ha alzato significativamente le previsioni mediane sui tassi, il cosiddetto dot plot dei suoi esponenti: sono arrivate oltre il 4,4% a fine anno rispetto al 3,4% in precedenza. Un incremento oltre il 4,6% è nelle carte nel 2023 (invece che al 3,8%), anche se inferiore al terminal rate di oltre il 5% ipotizzato da alcuni analisti. Nessuna riduzione è considerata fino al 2024. I tassi dovrebbero gradualmente scendere allora al 3,9% e al 2,9% nel 2025.
Il chairman Jerome Powell, nella sua conferenza stampa al termine dei due giorni di riunione del vertice Fomc, ha detto che la Fed è oggi «fortemente impegnata a riportare l’inflazione al target del 2%». E che «ulteriori strette sono appropriate». Una politica restrittiva dovrebbe inoltre rimanere in vigore «per qualche tempo», per evitare i rischi di allentamenti «affrettati». Prima di simili mosse, ha aggiunto, «dobbiamo avere fiducia che l’inflazione sia in discesa».

Powell aveva ammonito che la stretta anti inflazione in atto era destinata a essere “dolorosa” per l’economia fin dal suo discorso a fine agosto al Simposio annuale di Jackson Hole. L’atteggiamento adottato adesso dalla Fed potrebbe aumentare le probabilità di una recessione vera e propria. La Fed, stando all’aggiornamento delle previsioni economiche, si aspetta ancora danni che giudica contenuti per l’attività economica, con una disoccupazione che salga al 4,4% l’anno prossimo e rimanga su simili livelli nel 2024 («modesti» nelle parole di Powell). Il previsto tasso di senza lavoro è comunque più alto del 3,7% attuale.

La previsione di crescita del Pil è stata inoltre ridimensionata per quest’anno ad un minuscolo 0,2% dall’1,7% precedente, e all’1,2% l’anno prossimo. «Nessuno sa se avremo una recessione» , ha detto Powell, ma ha precisato che le chance di un atterraggio morbido della crescita diminuiscono con la maggiori strette e la eventuale durata della manovra.

Le difficoltà nel contenere l’inflazione hanno finora nutrito critiche alla Fed e interrogativi sulla sua stessa credibilità. Tanto più perché i suoi vertici hanno ammesso di aver già sbagliato una volta nel prevedere l’andamento del carovita, considerandolo l’anno scorso solo temporaneo e tardando nel decidere azioni. I più recenti dati sull’inflazione hanno mostrato prezzi al consumo ancora in marcia dell’8,3% nell’ultimo anno ad agosto, oltre le attese, nonostante cali nei prezzi di benzina e energia.

Le polemiche potrebbero continuare. C’è ora chi teme che una Banca centrale in affanno possa accelerare troppo la manovra restrittiva, che richiede in realtà tempo per farsi sentire nell’economia reale, portando con sé rischi di una recessione più grave del necessario. E c’è chi dubita che la politica anti inflazione sia adeguata e chiara.
Andrew Levin, docente a Dartmouth, e Mickey Levy, di Berenberg, membri dello Shadow Open Market Committee, organizzazione indipendente nata per esaminare le scelte della Fed, in un recente commento sul Wall Street Journal hanno invocato la necessità di una «strategia sistematica» e «trasparente» della Fed davanti al «serio rischio» di «persistente elevata inflazione».

Hanno suggerito un recupero di benchmark, di regole più rigide che consentano di anticipare le azioni della Fed per guidare i tassi al rialzo, quali la controversa Taylor Rule, che li lega a inflazione e crescita e rilanciata dallo stesso John Taylor docente a Stanford. Con preoccupazione viene visto il rincaro nei servizi, a cominciare dai costi abitativi e degli affitti, la maggior componente dei prezzi al consumo e che dovrebbe lievitare ancora. E un’economia sulla quale la politica monetaria americana ad oggi «non sembra esercitare significative pressioni disinflazionistiche».

© Fonte Ufficiale
PRIMO PIANO Il Sole 24 Ore 22 SETTEMBRE 2022
Marco Valsania

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