In uno dei miei recenti interventi vi ho parlato di industria 4.0 definita anche come quarta rivoluzione industriale mettendone in evidenza le caratteristiche fondamentali e cioè ripensare l’intero processo produttivo in chiave digitale.

Imboccare questa strada significa investire in tecnologia, ricerca, innovazione, ma chiedamoci…possono le nostre imprese affrontare un piano di spesa così impegnativo?

Purtroppo la risposta è quasi sempre no. Il tessuto produttivo del nostro paese e del meridione in particolare è fatto di tante micro, piccole o medie imprese spesso incapaci di competere in termini di innovazione e internazionalizzazione con imprese più strutturate e di maggiori dimensioni.

L’aggregazione classica attraverso fusioni e acquisizioni si è rivelata sino ad oggi difficoltosa, in quanto rimane forte la resistenza a cedere o condividere il controllo dell’impresa. 

Bene, come ho detto aprendo questo mio intervento, le reti d’imprese possono invece essere una delle possibili soluzioni per far crescere la competitività delle nostre imprese conservando la propria struttura dimensionale.

Vediamo perché.

La rete d’impresa è un contratto stipulato tra 2 o più imprese che consente ai partecipanti di mettere in comune attività e risorse per potenziare la propria capacità innovativa e investire in tecnologie che da soli non potrebbero permettersi a causa delle ridotte dimensioni aziendali, accrescendo quindi la propria competitività senza rinunciare alla propria autonomia giuridica individuale.

I contratti possono coinvolgere sia imprese che operano in settori produttivi differenti, ipotizzando possibili legami di filiera, che imprese operanti nello stesso settore.

Si tratta quindi di un moderno strumento di aggregazione, regolamentato a partire dal 2009, che si aggiunge alle tradizionali forma di aggregazione quali i consorzi e le associazioni temporanee di impresa.

Elemento fondamentale del contratto è il “programma comune di rete” che fissa gli obblighi delle imprese aderenti:

  • a collaborare in determinati ambiti  attinenti l’esercizio delle proprie imprese, come ad esempio la creazione di gruppo di acquisto o la creazione di un marchio comune;
  • ad esercitare in comune una o più attività rientranti nell’oggetto della propria impresa, come ad esempio l’attività di ricerca e sviluppo, l’utilizzo in comune di macchinari o strumenti di alta tecnologia o la realizzazione e la gestione di reti di dati.

Come vedete quindi il contratto di rete, a differenza del consorzio o dell’ATI, non è limitato al compimento di un affare specifico o di determinate fasi della rispettiva attività di impresa ma è un accordo duraturo destinato protrarre nel tempo i suoi effetti.

Ma come si costituisce un contratto di rete?

Il contratto di rete di impresa deve essere redatto per atto pubblico o scrittura privata autenticata; può prevedere l’istituzione di un fondo patrimoniale comune e la nomina di un organo comune incaricato di gestire in nome e per conto dei partecipanti l’esecuzione del contratto.

Nell’attuale contesto normativo i contratti di rete possono sostanzialmente distinguersi tra due diverse forme giuridiche:

  • la rete contratto in cui gli atti posti in essere in esecuzione del programma di rete producono i loro effetti direttamente nelle sfere giuridiche dei partecipanti;
  • la rete soggetto che si ha quando la rete di imprese decide di acquisire soggettività giuridica; a tal fine si dovrà iscrivere il contratto di rete nella sezione ordinaria del registro delle imprese.

Insomma, per concludere, fare rete significa semplificare i rapporti di filiera, fare rete significa garantire un offerta più completa di beni e servizi, fare rete vuol dire ottimizzare le risorse e le competenze, fare rete vuol dire, per molte aziende, sopravvivere e crescere.

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