L’utilizzo di strumenti informatici nel mondo della finanza, il recente fenomeno del cosiddetto Fintech, costituisce una formidabile innovazione, quasi una rivoluzione.

Prende sempre più piede e si susseguono studi e convegni in materia, che costituiscono occasione per studiarne l’ampiezza e le potenzialità. Proprio per questo, per comprenderne appieno la portata, può valere la pena di tentare di valutarne le implicazioni sotto l’aspetto delle conseguenze sistemiche che esso comporta.

Sotto due profili: quello della portata della rivoluzione in corso nella vita delle aziende e quello dei potenziali effetti sulla nostra raffigurazione di democrazia economica.
Quanto al primo tema, anche se si tratta di un approccio finora scarsamente valutato, occorre riflettere sulla circostanza che, a differenza del passato, le imprese hanno sempre più necessità di utilizzare strumenti finanziari per svolgere il loro lavoro. Sia per la produzione dei beni e servizi che offrono, sia per la gestione dell’impresa stessa. Da una parte, i prodotti sono sempre più innovativi e complessi. Da ciò deriva la necessità di disporre di un crescente afflusso di capitali per far fronte alla bisogna. Non basta più un’idea brillante e il finanziamento da parte di un gruppo di amici per “scaricare a terra” ciò che si va proponendo a un mercato sempre più esigente, soprattutto se per imporlo occorre confrontarsi con la concorrenza internazionale, magari proveniente da realtà continentali ben più agguerrite della nostra. Occorrono dunque capitali, che potranno essere forniti in quantità adeguata solo da soggetti esterni all’impresa: dalle banche o dal mercato finanziario. E banche e mercati non saranno più in grado di fornire il servizio richiesto a costi competitivi se non si doteranno di strumenti di informatizzazione, possibilmente anche utilizzando quelli offerti dall’Intelligenza Artificiale, per la confezione e la diffusione dei loro prodotti.

A rischio della loro graduale emarginazione dai mercati

Dall’altra parte, anche le imprese sono costrette a fornire nuovi prodotti e a dotarsi di nuovi processi produttivi sempre più tecnologizzati, meno costosi e più efficienti. Tenendo anche conto del fatto che la crescente sensibilità sociale impone loro di non trascurare non solo la loro efficienza (un’impresa inefficiente può dover essere costretta a chiudere o ad alleggerire il personale), ma anche di ridurre la possibili diseconomie esterne che essa provoca al consesso civile nel quale è collocata. Sostenibilità ed effetti dei cambiamenti climatici sono solo i due esempi maggiormente impattanti.
Per chiarire il concetto basterebbe fare riferimento alla questione del rischio. Fino a prima della grande crisi del 2007-2008 i rischi di impresa esistevano esattamente come oggi, ma semplicemente non se ne teneva conto. L’unico rischio a cui guardavano gli analisti era quello che emergeva dal bilancio. Ma un bilancio negativo non è mai stato un figlio senza padri.

Oggi ci si è resi conto invece che esso deriva necessariamente da errori commessi nella gestione: un consiglio di amministrazione inadeguato, fornitori inaffidabili, problemi di continuità produttiva, localizzazione o impianti produttivi non sicuri, scarsa considerazione dei flussi di cassa e via discorrendo. Ma per far fronte a un simile cumulo di possibili eventi rischiosi, e soprattutto alla loro reciproca interazione, non basta più un foglio Excel, ma occorre disporre di un sistema integrato di risk assessment che consenta di valutare ex-ante i possibili eventi negativi, in modo da consentire di evitarli. D’altronde, è proprio questo lo spirito della recente legislazione sulla crisi di impresa.
In conclusione, la tecnologia utilizzata per la finanza costituisce ormai lo strumento imprescindibile di cui sono obbligate a dotarsi imprese e istituzioni finanziarie se vorranno affrontare con successo la sfida globale.

Fintech è tanto, ma non è solo questo.

Fintech è il più potente ed efficiente strumento per ridefinire i termini della democrazia economica. E ciò grazie al fatto che è neutro e diffuso. Non ha l’intento di favorire questa o quella parte in causa e può essere utilizzato da tutti, poiché non esistono praticamente barriere all’ingresso, sia per i produttori, sia per gli utilizzatori/investitori.
Forse il principale problema che hanno dovuto affrontare i governi e le autorità di regolazione dei mercati negli ultimi anni consiste nella sempre più difficile collocazione dei loro interventi tra Scilla, l’attrattività dei mercati finanziari, e Cariddi, la tutela delle parti deboli, investitori e semplici risparmiatori. Fino a quando i mercati costituivano una realtà sostanzialmente oligopolistica e centralistica, il pendolo era, anche se inconsapevolmente, prevalentemente orientato a favore delle ragioni della salvaguardia delle istituzioni finanziarie esistenti.

Ma oggi, grazie alla massiccia diffusione, a opera della tecnologia, di strumenti di conoscenza e di decisione di agevole utilizzo e di costo irrisorio, le scelte non possono essere ulteriormente confinate entro un ristretto areopago di ottimati: dipendono dalla volontà dei tanti, dei milioni di persone che risparmiano, investono, progettano un futuro migliore. La democratizzazione del potere decisionale potrà consentire ai sistemi economici di meglio soddisfare i bisogni di ciascuno, anche in conseguenza del fatto che il sistema di decisione diffuso potrà permettere di mutare la considerazione, fino a oggi negativa, nei confronti del mondo della finanza.

Con una cautela. Se è vero che l’informatizzazione costituisce uno strumento operativo teoricamente neutrale, è anche realtà il fatto che l’attuale gestione delle più importanti piattaforme è saldamente in mano a pochissime mega-imprese, le cosiddette Big Tech, che nella quasi la totalità dei casi detengono un potere finanziario superiore a quello di molti governi. Fino a oggi queste imprese hanno fatto il buono e il cattivo tempo. Ma qualcosa sta cambiando, soprattutto Oltreoceano. Lo spirito dello Sherman Act, la prima legge antimonopolistica americana, applicata per contenere l’impero monopolistico di Rockefeller nel petrolio, si sta risvegliando. Tocca ora alle Antitrust europee operare affinché nel Vecchio continente cresca un vero mercato, concorrenziale e aperto, nel quale la prosperità dei molti possa prevalere sugli interessi dei pochi.

© Fonte Originale: Il Sole 24 Ore
©  Scritt0 da: Giuseppe Vegas

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