Tribunali intasati dalla riforma della crisi d’impresa, che si rivela un autogol per il tessuto imprenditoriale italiano, con indici troppo punitivi. A seguito della recessione economica innescata dalla pandemia, quasi 140 mila imprese potrebbero essere costrette ad attivare le procedure di allerta previste dal nuovo Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (D.Lgs. 14/2019), che entra in vigore il prossimo 1° settembre 2021. A dirlo è Cerved, che in uno studio ha elaborato i dati delle società italiane e ha applicato i parametri definiti secondo la normativa.
  • La riforma della crisi di impresa interviene in modo ampio e organico sulla disciplina fallimentare italiana, risalente al 1942. Le procedure di allerta sono una delle principali novità della riforma e prevedono:
  • obblighi organizzativi in capo alle imprese che devono dotarsi di assetti adeguati alla tempestiva rilevazione della crisi e della perdita di continuità;
  • strumenti di allerta, come la segnalazione di creditori pubblici qualificati (la cui operatività è stata posticipata al 2023), degli organi di controllo e indicatori della crisi che attivano le procedure di allerta;
  • la ricerca, con l’Organismo di composizione della crisi d’impresa (Ocri), istituiti presso le camere di commercio, di una soluzione extragiudiziale alla crisi, mediante l’adozione di misure riorganizzative dell’attività imprenditoriale.
Ma da dove derivano questi indici rivelatori? Il Consiglio nazionale dei dottori commercialisti e degli esperti contabili ha il compito di elaborare con cadenza triennale indici che fanno ragionevolmente presumere lo stato di crisi dell’azienda. Il Cndec, insieme a Cerved, ha elaborato una procedura per individuare imprese in situazione di presunta difficoltà finanziaria. Si può manifestare una presunta situazione di crisi se il patrimonio netto di un’impresa è inferiore a zero, oppure se il debt service coverage ratio (Dscr) è inferiore a 1. Tale indice segnala se il flusso di cassa generato dall’impresa è sufficiente per ripagare il servizio del debito. Tuttavia, per calcolare il Dscr sono necessari sistemi di tesoreria, spesso assenti tra le imprese italiane, ma indispensabili per auto-valutarsi, verificare lo stato di salute dell’impresa e avviare una pianificazione finanziaria.
Nel caso non sia possibile calcolare il Dscr, l’alternativa è verificare lo stato di tensione di 5 indici di bilancio e se un’impresa manifesta difficoltà (al di sopra di una certa soglia) su tutti i 5 indici di bilancio, si presume uno stato di crisi. I 5 indici sono:
  • Oneri finanziari su fatturato;
  • Patrimonio netto su debiti;
  • Liquidità a breve termine;
  • Cash flow su attivo;
  • Indebitamento previdenziale e tributario su attivo.
Dopo una simulazione effettuata da Cerved si ottengono questi dati allarmanti: prima della pandemia, su un campione di circa 700 mila società di capitale, avrebbero attivato una procedura 56 mila imprese (di cui 54 mila con patrimonio netto negativo). Secondo i bilanci del 2020, questo numero schizza a 114 mila (di cui 112 mila con patrimonio netto negativo). Nel 2021, il numero sale ancora per arrivare a 138 mila imprese (di cui 137 mila con patrimonio netto negativo).
La stessa simulazione è stata condotta su circa 100 mila società di capitale per le quali è previsto l’obbligo di istituire l’organo di controllo (le società che per almeno due anni consecutivi superano una delle soglie di: 4 milioni di attivo, 4 milioni di ricavi, 20 dipendenti). Anche in questo caso, la situazione antecedente alla pandemia è risultata meno devastante.
Nel 2019, 3.400 imprese avrebbero attivato la procedura (di cui 3.179 con patrimonio netto negativo). Secondo i bilanci del 2020 questo numero s’impenna fino a 11.456 unità. Mentre nel 2021 il numero è destinato ancora ad aumentare a 14.562 unità.

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